Il legame tra diabete mellito e disturbi dell’umore è noto almeno dagli anni ’50.
I sintomi della depressione includono la persistente tristezza o l’incapacità di provare gioia, la perdita o l’ incremento d’appetito, l’insonnia, l’apatia, la difficoltà di concentrazione, i sentimenti di disperazione ed inutilità, irritabilità, ansietà, nervosismo, sensi di colpa.
A volte le persone depresse trovano difficile fronteggiare i programmi e le attività quotidiane, e riportano rilevanti difficoltà nei vari campi della vita.
Mentre la depressione è molto comune fra la popolazione generale, alcuni studi clinici indicano come essa sia ancora più frequente nei malati cronici. Ciò potrebbe essere dovuto a numerosi fattori, tra cui lo stress derivante dal trattamento e dal controllo della malattia, gli effetti sulle funzioni cognitive, gli effetti collaterali o le complicazioni intrinseci alla terapia farmacologica.
Il diabete mellito richiede diligenza, cura della malattia, un rigoroso controllo giornaliero dei vari aspetti della vita e della salute. La dieta, l’attività fisica, la terapia, il monitoraggio glicemico, le visite mediche, l’attenzione ad altre malattie e alle complicanze rappresentano una routine e, considerati i sintomi depressivi e le difficoltà che possono creare, è ragionevole presupporre che la presenza di depressione abbia un impatto rilevante sul controllo del diabete.
Oltre alla depressione, il diabete mellito facilita la comparsa anche di altri disturbi psicopatologici come l’ansia e i disturbi alimentari che influenzano a loro volta la gestione della malattia.
L’ansia e lo stress provocati dalla malattia possono raggiungere livelli così elevati da ostacolare il raggiungimento di buoni valori glicemici e di un’autogestione adeguata.
Un discorso a parte riguarda i genitori di bambini diabetici, spesso sono questi adulti, più che i piccoli pazienti, a richiedere un supporto di tipo psicologico, almeno nelle prime fasi di malattia.
Tra i sintomi dell’ansia c’è la facilità all’affaticamento, i disturbi del sonno, l’irritabilità, l’irrequietezza, la tensione muscolare. Come per i disturbi depressivi, l’ansia rappresenta una barriera importante al trattamento.
A livello personale, molti pazienti presentano anche problemi di vario tipo, riguardanti la sfera del controllo, ci sono persone che hanno difficoltà ad accettare le regole, a mettere sotto controllo alcuni aspetti di sé.
Innanzitutto, per alcuni pazienti abituati a tenere tutto sotto il proprio controllo è molto ansiogeno pensare di affidare per sempre la propria vita a un medico, o accettare di delegare a un altro la propria cura e le decisioni relative alla propria salute.
Allo stesso modo per queste persone è difficile accettare le oscillazioni legate alla malattia, quindi tollerare il fatto che non sia sempre possibile controllare in toto la propria malattia.
Questi pazienti trovano utile ricevere molte informazioni, in modo da avere la possibilità di sapere cosa sta accadendo. Devono essere rassicurati sulla possibilità di tenere la situazione sotto controllo, così come sono stati sempre abituati a fare e nello stesso tempo è necessario lavorare affinché riescano gradualmente a tollerare delle aree di non controllo.
Un altro aspetto importante è quello legato alla “dipendenza”, proprio perché alcuni pazienti faticano ad accettare di dipendere da altre persone (medici, infermieri), ma anche da un farmaco.
Questo problema è comune a molti pazienti insulino-dipendenti, cioè pazienti la cui esistenza “dipende dall’insulina”.
In altri, invece, si evidenzia il problema opposto, un’eccessiva dipendenza, un’estrema difficoltà a fare da soli, ad auto-gestirsi, per cui richiedono una costante supervisione.
Lavorando sui comportamenti di questi pazienti, è spesso necessario distinguere e analizzare tre elementi: i pensieri, le emozioni, i comportamenti. Spesso, infatti, questi pazienti raccontano i loro comportamenti, ed è necessario aiutarli a considerare che essi sono correlati a pensieri ed emozioni sottostanti.
L’analisi dei pensieri e delle emozioni porta spesso ad individuare un atteggiamento di rabbia, una delle emozioni che maggiormente traspaiono dai discorsi dei pazienti con diabete mellito, a volte in modo manifesto, altre in forma più velata, ma sempre significativa. Spesso emerge una rabbia nei confronti della malattia che viene percepita come un nemico da combattere, da tenere a bada, un nemico che, però, non potrà mai essere definitivamente sconfitto.
I pazienti compiono un passo significativo nel momento in cui passano dalla visione della malattia come nemico da sconfiggere a quella di un elemento di sé con cui convivere, con cui giungere a un compromesso.
La rabbia è anche spesso collegata a un altro vissuto tipico, quello di aver subito un danno, di essere stati ingiustamente danneggiati o penalizzati. Da ciò emerge un bisogno di risarcimento, che nasce su basi inconsapevoli e che porta il soggetto ad assumere atteggiamenti apparentemente inspiegabili.
Il processo educativo ha come obiettivo sia insegnare al diabetico a convivere con la malattia, sia raggiungere gli obiettivi clinici della terapia e della prevenzione delle complicanze.
In questa patologia l’adesione al trattamento è cruciale e per questo viene posta al centro dell’educazione terapeutica. E’ evidente che solo una buona motivazione consente al paziente con diabete mellito di adottare una strategia di cura, ma che anche ogni operatore sanitario deve imparare a motivare ogni paziente.
Lo stile comunicativo, più che la quantità di informazioni trasmesse, sembra influire sulla qualità percepita della relazione tra curanti e pazienti.
Uno stile aperto, empatico, non giudicante è fondamentale, la capacità di ascolto partecipe del paziente e di sintonia con i suoi vissuti sono qualità e abilità indispensabili per una relazione di cura efficace e soddisfacente.
Sviluppando un coping efficace, il paziente riesce a vedere il diabete come un problema piuttosto che come una minaccia, spostandosi da un comportamento di fuga a uno di attacco.